opera non comune opera del celebre giurista e filosofo napoletano.
Ironizzando sulle polemiche tra i sostenitori della tortura e gli scrittori che si atteggiavano a «difensori dell’umanità», accusava questi ultimi di voler togliere validità non solo alle confessioni estorte ma anche a quelle volontarie: un «abuso della filantropia» che finiva con indebolire la giustizia, lasciando impuniti anche «delitti atrocissimi». Sulla base di ampie considerazioni storiche e giuridiche sulla natura della testimonianza, discutendo casi e autori che dall’antichità arrivavano fino a Jacques-Pierre Brissot de Warville, Gaetano Filangieri, Mario Pagano, nell’ambito del diritto civile, penale e canonico, intendeva dimostrare che le confessioni rese senza alcuna minaccia esterna, ma per il «solo stimolo della coscienza», e senza coinvolgere altri, dovevano essere considerate dai giudici con una certezza relativa, come qualunque altra prova. C.f.r. Treccani. Diz. biografico degli italiani.
Note sull'autore
Winspeare DavideGiurista e filosofo napoletano (Portici 1775 - Napoli 1847). Prima avvocato, poi membro e procuratore generale della Commissione feudale e avvocato generale presso la Corte di cassazione. Da quest'ultima carica fu destituito da Ferdinando I per aver accompagnato a Trieste Carolina Murat; e alla destituzione seguì l'esilio. Ritornato in patria riprese l'avvocatura libera, che abbandonò nel 1834 per dedicarsi agli studî filosofici, di cui sono frutto i Saggi di filosofia intellettuale (1843-46). Tra le opere giuridiche: Delle confessioni spontanee dei rei (1807); Rapporto intorno alle decime della provincia di Terra d'Otranto (1809). Ma la sua opera più notevole è la Storia degli abusi feudali (1811), dedicata a Murat, di ispirazione illuministica e utilissima per la sterminata quantità di documenti originali utilizzati.